III DOMENICA DI QUARESIMA
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
In questo periodo di Quaresima l’obiettivo primario è il percorso della misericordia e della conversione; ecco perché questo passo del Vangelo di Luca contiene due indicazioni (sulla conversione e sulla misericordia di Dio).
Ha fatto clamore un episodio avvenuto in Galilea in cui le guardie romane del Governatore romano Ponzio Pilato hanno soffocato nel sangue i Galilei intenti a pregare il loro dio chiedendo aiuto e protezione; l’eccidio è stato così violento che il sangue degli officianti si era mescolato con quello dei sacrifici stessi.
Il fatto drammatico e la concezione di sovversivi attribuita ai galilei erano motivo di domanda verso Gesù.
Gesù non si presta a considerazioni politiche benché aveva già considerato i dominatori di questo mondo come degli oppressori che paradossalmente si fanno chiamare benefattori (Lc 22,25 e succ.), per questo cambia l’assetto del discorso e dice: “Credete che quei galilei fossero più peccatori di tutti i galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.
Egli conferma ancora una volta la “logica” divina che sovverte completamente quella umana giacché sul piano della fede e della conoscenza di Dio il peccato non è direttamente proporzionale al castigo divino, perciò la non conversione anche di una persona rispettosa delle istituzioni comporta anch’essa una punizione.
Possiamo notare come in ogni situazione di sofferenza è comune la scoperta del sentire un patimento come ingiusto con la conseguente domanda sul perché; in fondo cosa si sarà mai fatto di tanto male da meritare una malattia? Un incidente? Un fallimento?
Tale, questo concetto divino è ribaltato completamente da Gesù perché il Padre non è un Dio perverso e ribadisce il concetto: “Quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.
Questo mi fa pensare come è alto il rischio di addossare le colpe a Dio per una sofferenza o un male subìto; Egli non è castigatore in questa vita, bensì elargitore di ricompensa nel giudizio finale perché ora questo fluire umano è un susseguirsi di eventi.
Gli eventi mortiferi già descritti potrebbero essere percepiti come analoghi per violenza e dolore nella vita futura, dopo aver lasciato questa terra senza conversione, per cui “Convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15; cf. Mt 4,17), dal momento che il Padre conosce lo stato dei Suoi figli e grazie alla Parola che li nutre concede la Sua misericordia e quindi il perdono.
Proprio per indicare l’effetto della Parola, Gesù racconta a chi Lo ascolta una stupenda parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”.
Questa prima parte riporta l’albero di fichi che ricorre spesso come simbolo nella Bibbia: per esempio furono foglie di fico che coprirono le nudità nel giardino dell’Eden, sono i fichi i frutti dolci che simboleggiano l’estate e lo stesso albero da cui alcuni riportano la simbologia della Sinagoga e il rapporto dei Giudei.
Mi piace pensare al fico come all’uomo piantato nella vigna del Signore, l’uomo che non si converte perché per tre anni non ha dato frutto cioè né per un anno (simbolico) con la legge naturale, né un altro anno con la legge di Mosè e né per il terzo anno con l’incarnazione di Gesù.
In tal caso il Padrone, Dio, decide di tagliarlo ma il contadino ovvero Gesù misericordioso chiede ancora tempo e quindi dice: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
La sarchiatura avviene per mezzo della Parola che dona rigogliosa linfa all’albero-uomo e produce i frutti della Sapienza; tutto questo avviene nel tempo presente, come predicava Giovanni il Battista: “Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco” (Lc 3,9; Mt 3,10).
Sta a noi, in questa nostra vita, essere annunciatori del Vangelo con le buone azioni, i buoni pensieri e tutto seguendo l’insegnamento del Signore.
M.M.