Vangelo in briciole
4 agosto 2019

XVIII DOMENICA T.O.

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».  E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».  Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

La Parola di Dio viva ed efficace consola e, al tempo stesso, educa mente e cuore; taglia, infiamma, trasforma nutre silenziosamente e disseta ogni arsura anche quando le sue pagine possono essere dure e scoprire piaghe nascoste che dissimuliamo persino a noi stessi. Il testo che l’evangelista Luca ci presenta questa domenica rinvia ad una dimensione essenziale della vita cristiana il corretto uso dei beni affinché essi non incatenino la nostra umanità e libertà.  Dalla folla che attornia Gesù si leva un’anonima richiesta, formulata con un imperativo, quasi un comando: «Maestro, dì a mio fratello che divida con me l’eredità». Gesù, non solo, rifiuta decisamente il ruolo di giudice tra due fratelli in contesa ma offre una risposta apparentemente straniante ammonendo tutti i presenti a guardarsi dalla cupidigia, quell’atteggiamento egocentrico del cuore che porta a un vuoto relazionale ed esistenziale; non condanna la ricchezza in sé, ma il desiderio insaziabile di avere sempre di più che limita l’orizzonte della felicità perché il valore di una vita pienamente umana non dipende dai beni che si possiedono. Affinché questa ammonizione si scolpisca nel cuore e nella mente di chi ascolta, il Maestro racconta una parabola potentemente umile, disarmante nella sua apparente paradossale semplicità ma che ci costringe a pensare, ci conduce nell’altrove di Dio. Un uomo ricco aveva avuto un raccolto abbondante al punto da trovarsi impreparato: dove ammassare tutto il grano? Comincia allora a ragionare tra sé: « Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?» e decide di demolire i vecchi granai e di costruirne altri più grandi che possano contenerne i beni; le sue ricchezze lo fanno sentire al sicuro, padrone della sua vita,  soddisfatto, autosufficiente tanto da dire a se stesso: « Anima mia , hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia» ma il velo della sua illusione è squarciato dalla voce di Dio che gli dice: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita».
Uno sguardo alla grammatica di questo testo ci permette di cogliere altre sfumature di significato. Proviamo a soffermarci sul monologo dell’uomo ricco e vi scorgeremo una litania del possesso scandita da aggettivi di prima persona : i miei raccolti, i miei magazzini, i miei beni, anima mia. Quest’uomo non è cattivo ma stolto, insensato perché vive come se Dio non ci fosse, i suoi beni sono l’orizzonte in cui la sua esistenza si esaurisce, accumula per sé e lentamente muore; ha investito sull’effimero che lo ha inebetito imprigionandolo in un microcosmo in cui l’Io non si apre al Tu, è solo con le sue ricchezze, nei suoi depositi pieni di grano ma vuoti di amore: « Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».
Quante volte anche noi siamo schiavi di questa illusione mortifera che i beni salvino, diano sicurezza e significato alla vita? Quante volte questa convinzione diventa criterio ispiratore delle nostre scelte? La parabola del ricco stolto, in un contesto problematico e conflittuale come è il nostro è un paradigma antropologico credibile, un faro di luce, una voce che si staglia altamente significativa ed evocatrice. È possibile, nel mondo che conosciamo, dare più valore alle persone che al denaro, e non solo a parole? È possibile accumulare relazioni buone donando invece di trattenere? Nella società contemporanea, stoltamente convinta di essere un unico grande mercato, la risposta a tali domande è spesso cinica, ogni cosa ha il suo prezzo e qualunque intervento politico o sociale, a favore, ad esempio, dei poveri, non è che un intralcio o un danno a un meccanismo intrinsecamente perfetto in cui lo scopo della vita umana è accumulare la maggior ricchezza possibile, una mentalità che mal si concilia con la logica del dono.
Nella risposta di Gesù all’anonimo interlocutore che lo interpella affinché risolva una questione di successione si intrecciano vigore e tenerezza: Egli non giudica ma ci fa capire cosa lasciamo dietro di noi, se cenere che si disperde o briciole di pane buono.
Il Vangelo propone, in definitiva, un rovesciamento completo del nostro modo di pensare, che ci faccia passare dalla logica del profitto alla ricerca dell’essenziale, alla parte migliore che non ci sarà tolta, al possesso della perla preziosa che dà senso e valore autentico all’esistenza umana: la relazione con Dio.
Solo allora la nostra vita, innescata in Lui, in quell’amore che nessuno esclude e tutti accoglie, troverà pienezza di significato e di obiettivi, fioritura piena.

 

Manuela Maiorisi