Vangelo in briciole
5 luglio 2020

XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 11, 25-30)
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

La chiesa ci offre in questo brano evangelico il segreto della vita cristiana, della pace del cuore, del ben-essere. Il segreto della riuscita dell’uomo è la piccolezza. Sembra veramente strano questo, ma non è tutto il Vangelo, tutta la vita di Cristo un inno alla “piccolezza”?
Afferma San Paolo “Cristo da ricco che era si è fatto povero per voi” (2 Cor 8,9); e ancora l’Apostolo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e ad una morte di croce” (Fil 2,5-8).
La morte in croce di Gesù è l’espressione più alta, più drammatica della sua scelta di vita. E’ lì che l’uomo esprime la sua vera povertà e Gesù l’ha voluta vivere.
Noi siamo tutti costituzionalmente poveri. Nasciamo nudi, viviamo nella precarietà, moriamo nella solitudine. In questo non c’è alcuna distinzione! Siamo radicalmente poveri, sempre bisognosi degli altri, tentati di fuggire da questa naturale condizione che stranamente e innaturalmente non accettiamo. Insegna la Parola che Cristo è venuto per “liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti schiavitù per tutta la vita” (Eb 2,15). Cerchiamo di rimuoverla attraverso strategie, progetti, nel tentativo di liberarcene. Ma non è possibile. È solo utopia! Per questo la Chiesa, madre e maestra, nell’imposizione delle ceneri ci dice: “Ricordati che sei polvere e polvere tornerai”.
Sembra un messaggio tetro, ma una madre non può incutere timore al figlio, o irretirlo con il ricordo della sua condizione naturale, ma lo richiama alla verità di se stesso, del proprio essere: sei quello che sei, non quello che cerchi di costruirci tentando di esorcizzare la tua precarietà  e la tua paura.
Puoi essere grande, potente, ma se sempre fragile. Può bastare la non chiusura di un tappo per morire in una navicella spaziale! Perché cerchiamo il potere, il piacere, il successo se non per esorcizzare la nostra paura della morte, della nostra finitudine? Non accettiamo di essere poveri! Eppure la Bibbia ci offre la luce della verità su noi stessi.
Chi siamo? “Ogni uomo è come l’erba  e la sua gloria è come il fiore del campo… Secca l’erba, appassisce il fiore” (Is 40,6). Sembra, a taluni, che la ricchezza possa liberare dalla paura del niente, ma non è così perché la nostra povertà creaturale ci accompagna costantemente.
Siamo radicalmente, umanamente, strutturalmente, storicamente tutti i poveri. Il non riconoscerlo è di fatto la più grande falsità e bestemmia. L’unico ricco è il Creatore che, strano a dirsi, si è fatto creatura e quindi povero. Il povero riconosce se stesso, è autentico, non camuffa il suo stato e si apre alla fiducia, tende le mani. Noi siamo questi poveri perché le nostre mani sono sempre alzate a Lui.
A chi riconosce la propria situazione di precarietà, di ricerca di senso, Cristo risponde; risponde all’umanità oppressa con il dono della sua parola: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11,28). Gesù sceglie di condividere la vita e il messaggio proprio dei poveri in spirito facendone una beatitudine: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3). A questi si rivela il mistero-disegno del Padre.
Chi riconosce Gesù? Leggendo il Vangelo comprendiamo che il Signore fa una scelta che va contro ogni logica umana; sceglie gente insignificante, quali potevano essere dei pescatori a quel tempo, gente bisognosa di perdono, gente bisognosa di luce, di attenzione. “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e  oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11,28).
Questi “poveri” sono conosciuti, che fanno parte di lui, sono legati da un rapporto di intimità tale che a loro rivela e dona il suo mistero di vita.
Dovremmo essere tutti noi che ci nutriamo ogni domenica di lui: cibo di vita vera e piena, nella Parola, nel Pane eucaristico e nella fraternità condivisa, sempre attenta a rendere ragione della speranza che è in noi.
Solo il “povero” conosce e ama Cristo; è il suo unico bene! Noi, perché discepoli, siamo stati liberati dal desiderio smodato di “possedere” cioè di far del bene materiale, psicologico, sociale, lavorativo, il nostro dio.
La povertà interiore guida l’agire del cristiano nella storia e lo rende benefattore perché portatore di Colui che si è fatto povero per noi e per tutti. Questo tipo di povertà del cuore, che è abbandono fiducioso e amoroso in Dio può essere solo un dono che viene dall’Alto e ci rende “abitati”.
Non si può essere oggetto della benedizione del Signore, come leggiamo nel Vangelo di oggi, se nella nostra quotidianità, in tutte le sue dimensioni ed esperienze non confidiamo in lui, se non abbiamo un cuore che si apra a Dio giorno e notte.
Questo significa essere, divenire “piccoli” nella dimensione di Maria che magnifica il Signore perché ha guardato la sua povertà. Questo significa essere poveri nella dimensione di vita di Gesù. Lui che era Dio, e quindi potenza, gloria, potere, onore, ha assunto la nostra povertà radicale. Afferma la Scrittura: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, prendendo la forma di servo” (Fil 2,5) affidandosi pienamente al Padre: questa è la fiducia che lo caratterizza; è il suo abbandono: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46); è il suo abbassarsi e umiliarsi. L’opposto di ciò che l’uomo pensa e si augura da Dio! La povertà è la carta d’idoneità di Cristo e di ogni suo discepolo. La “piccolezza” del brano evangelico forse non è la nostra, ma dietro a Lui desideriamo entrare nella categoria della fede, giorno dopo giorno; nella categoria di poveri che sono i piccoli non di età, ma di fiducia, di abbandono, che vuol dire esclusiva fiducia in lui, Pastore bello, che ci guida verso pascoli ricchi di lui; poveri che considerano Lui l’unica forza  e l’unico sostegno della vita, scartando  calcoli,  interessi, egoismi, prepotenze, violenza in tutti i sensi. poveri si, come i bambini: “Chiunque diventerà piccolo come un bambino sarà il più grande nel regno dei cieli” (Mt 18,4), avendo una sola ricchezza: l’Abbà. “Benedetto sei tu, Signore, umile re di gloria”.

Don Pierino