Vangelo in briciole
25 agosto 2019

XXI DOMENICA T.O.

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.  Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

«Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme» (Lc 13, 22).Cosa muove i passi di Gesù lungo le strade polverose della Galilea, della Samaria e della Giudea in questo risoluto incedere verso Gerusalemme? Cosa lo spinge a questo continuo, instancabile incontro con i luoghi e le storie di uomini che, spesso, non lo comprendono, lo rifiutano? L’ ostinata radicalità di un folle innamorato: è questo che infuoca Gesù! L’evangelista Luca, insistentemente, ci rammenta questo viaggio geografico e teologico che Gesù compie con decisa fermezza (cfr. Lc 9, 51); nessun indugio o timore in Lui ma piena consapevolezza e accoglienza della volontà misericordiosa e salvifica del Padre per il mondo intero; desiderio di mostrare il vero volto di Dio, volto tenerissimo di un Abbà che perdona. Sospeso tra terra e cielo sulla croce, Gesù è il segno di questo amore che stilla, goccia dopo goccia, fino a dissetare la nostra arsura, il nostro desiderio di felicità; la salvezza che ci ottiene è un fiume in piena che ci avvolge per sempre. Mentre cammina un tale interpella il Maestro: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?»; un quesito apparentemente normale da sottoporre ad un rabbì, ma che contiene un fastidioso errore di formulazione; un cavillo impercettibile ad una lettura superficiale ma cruciale per comprendere la strana risposta di Gesù. Se osserviamo, attentamente, il verbo di questa proposizione noteremo che è usato in forma riflessiva: l’Io è protagonista, soggetto e oggetto dell’azione, quasi che la salvezza sia qualcosa che possiamo ottenere da noi stessi e non un dono di grazia. Quante volte anche in noi buoni cristiani si insinua questa tentazione dell’auto-giustificazione, questo narcisismo spirituale che ci fa essere «devoti di Santo Specchio» (Papa Francesco, incontro con il clero di Roma, 7 marzo 2019): partecipiamo all’Eucarestia, conosciamo il Vangelo e, in virtù di questo, pensiamo già di avere un piede in Paradiso. La risposta spiazzante di Gesù corregge una mentalità farisaica, precettistica e opportunista e vale anche per noi, a Lui non interessa fare il contabile, perciò, con un incalzante imperativo, cambia il punto d’osservazione dalla quantità alla modalità: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta». Immersi nelle nostre piccole routine diventiamo spesso incapaci di riconoscere questo spazio, questo tempo favorevole di salvezza: è Gesù la porta (cfr. Gv 10, 9); è Lui il grembo fecondo della vita nuova; nella Sua umanità ci ha aperto un passaggio tra Terra e Cielo, una breccia che ha demolito il muro di separazione innalzato da Adamo ed Eva (cfr. Ef 2, 14), quella chiusura che ci aveva reso orfani del Padre. Attraversare la porta è mettersi dietro a Gesù, percorrere la Sua stessa strada, amarLo, perché solo chi ama desidera varcare la soglia della vita dell’amato per instaurare una relazione intima. Il cammino verso Gerusalemme è paradigmatico, ci svela la chiave di questa porta: è stretta, per attraversarla occorre curvarsi, farsi piccoli, sgonfiarsi di presunti meriti e di immaginari titoli di credito, svuotarsi di rivalità, invidia, orgoglio che contraddicono il mistero di Cristo. La porta stretta è la logica del seme caduto che muore per dare frutto, è fatta con le assi che vengono dall’albero della Croce e ha per misura il  Dio fatto bambino che entra nel mondo in una stalla, nella periferia insignificante del mondo. La chiave d’accesso è l’umiltà di chi è cosciente della propria creaturalità, di chi si colloca in basso e guarda l’erba dalla parte delle radici, di chi è capace di spezzare il pane della condivisione, di farsi carico del fratello curando le sue ferite con olio e vino.  L’umile è chi si affida a Dio e aspetta tutto da Lui, è l’agonista tenace dell’Amore vero, è chi vive per farsi dono senza lasciarsi scalfire da mentalità effimere, vaghe, cristallizzate, chi scompare senza bisogno di esibizioni o riconoscimenti. Gli umili sono i pienamente umani perché non sono i burocrati della vita e della fede ma hanno un cuore ospitale e allargato, come Gesù. Sforziamoci di passare per la porta stretta perché se avremo un io extra-large che soffoca l’etica cristiana in sovrastrutture, riti e prescrizioni ci sentiremo dire: «Voi, non so di dove siete», a nulla varrà bussare, non servirà accampare scuse  di una presunta conoscenza del Vangelo, non ci faranno da garante le devozioni o i riti:  la porta rimarrà desolatamente chiusa; non si aprirà perché chi bussa non è conosciuto, non è entrato in relazione, non si è lasciato amare.  La porta è stretta ma si apre su una festa senza fine: «Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio», una immensa sala strapiena, una tavola imbandita dove i figli amati e amanti godranno vita piena, riconciliata e felice.

Manuela Maiorisi